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lunedì 21 maggio 2018

Il mio BDSM e altre storie da Berlino

– L’incontro con la sessualità come mezzo comunicativo ed espressivo –


Sul Dolore Consensuale

Perché è considerato così scandaloso dal resto della popolazione, che non è interessata o non ricerca attivamente questa condizione, che una porzione di umanità ricerchi invece in maniera deliberata il piacere e l’appagamento attraverso il dolore?

Che tabù si cela dietro questa condizione?
Il dolore è sicuramente qualcosa di fisiologico, ma nella sua comparsa e nella risposta degli individui non mancano certo anche le componenti energetiche, emozionali e psicologiche.

Da tempo mi occupo di bodywork ed il mondo del BDSM ha sempre esercitato un grande fascino sul mio immaginario. Approdare alla possibilità di viverlo in prima persona qui a Berlino sta plasmando la mia percezione di come, in maniera consensuale, la pratica di stimolazione consapevole attraverso il dolore renda le persone appagate, di come crei legami forti e profondi, di come intessa trame di complicità emozionale difficili da riscontrare altrove.

Ricevetti una risposta semplice ed eloquente a questi interrogativi una notte mentre mi trovavo al KitKat, una discoteca sex-friendly molto famosa a Berlino (ma non solo) assieme ad un’amica.
Eravamo lì per festeggiare il suo compleanno, più precisamente eravamo lì perché il suo regalo di compleanno da parte mia era del tempo da dedicarle per giocare assieme. Non che il KitKat sia il posto migliore al mondo dove praticare BDSM, ma mettiamola così, lo fanno in molti e noi serviva uno spazio dove poterlo fare in santa pace quella sera.
Ci fermammo su un grande divano circolare in una delle sale antistanti la sala principale, quella con la pista da ballo, c’era ancora poca gente e la serata stava iniziando allora.
Tirai fuori le mie corde, una paletta da spanking e la rotella metallica di Wartenberg, tutto messo lì in bella vista sul divano, e cominciai una piccola lotta con la mia amica, cercando di afferrarle i polsi e legarli, il che avvenne dopo poco. Le strinsi le braccia al petto, cominciai ad avvolgere la corda attorno alla parte alta del corpo, le bloccai completamente gli arti superiori, la costrinsi a sdraiarsi su un fianco e presi a sculacciarla. Lei si contorse, gridò, io le afferrai una caviglia e la legai alle corde già presenti sul torso, piegandole la gamba all'indietro, il che espose tutta la parte anteriore del corpo alla mia vista. Legai anche l’altra caviglia nello stesso modo, il che mi diede accesso completo alla sua pancia, alle anche, al pube.
Nel frattempo una piccola folla si era radunata lì attorno, qualcuno sghignazzava sotto i baffi, qualcun altro cercava di esplorare con lo sguardo i centimetri di pelle scoperta del corpo della mia amica in cerca di qualche particolare ancora più piccante, qualcun altro sembrava volersi mettere in fila per essere il prossimo da trattare.
Il mio regalo di compleanno durò una mezz'oretta, durante la quale un visitatore tra tutti sembrava essere più interessato degli altri, lo vedevo deambulare continuamente lì attorno, guardarci mentre era appoggiato ad un angolo, sedersi all'altro lato del divano circolare, toccarsi insistentemente le braccia come se bramasse di essere toccato a sua volta da qualcun altro.
Finimmo la sessione, ne seguirono baci, abbracci, carezze e sfregamenti saffici, poi ci spostammo nella sala grande, la serata, e la musica, erano iniziate.
Non sono mai stata famosa per le mie incursioni selvagge da tigre danzante del dancefloor, piuttosto per fermarmi a giacere in posizioni improbabili a mo’ di leone pigro e sfatto adagiato sui divani adiacenti, per cui anche stavolta, seguendo la mia natura, mi fermai a sedere con la borsa degli attrezzi a fianco su uno dei divani in pelle nera posizionati in maniera random tutto attorno al perimetro della grande sala.
La mia amica stava danzando poco distante da me, quando notai lo stesso visitatore deambulante che poco prima girava attorno al divano circolare durante la nostra sessione di corde stazionare proprio lì davanti a noi, da solo, mentre con poche movenze dei piedi (piatti tra l’altro) accennava una simil danza statica sul posto, quasi a voler dissimulare la noia che probabilmente lo stava pervadendo senza dare però troppo nell'occhio, cercando di confondersi tra la folla facendo quello per cui le persone principalmente andavano in quel posto, ovvero ballare, forse.
Due o tre passettini al lato, altrettanti per tornare alla posizione di partenza, poi una rapida occhiata di sfuggita girando solo la testa a me e alla mia amica poco distante, ed ecco che la richiesta implicita divenne esplicita. Lo notò anche la mia amica, che venne immediatamente da me per condividere quella sensazione, convenimmo sul fatto che quel giovane, anche molto carino tra l’altro, non aspettava altro che cadere preda delle nostre dolci e (poco, almeno le mie) delicate manine. Decidemmo che dovesse essere lei ad adescarlo.
Gli andò vicino, sussurrandogli qualcosa all'orecchio e passandogli morbidamente un braccio attorno alle spalle, ed in meno di un minuto me lo ritrovai lì davanti, in piedi, bottiglia di birra ancora in mano e la mia amica al suo fianco che lo teneva per un braccio, che ci chiedeva con aria innocente di essere legato e sottomesso.
Era davvero un bel ragazzo, occhi chiari come il ghiaccio, capelli ricci e scuri, corti, canottiera nera e jeans attillato, magro, ma in forma, spalle larghe e fianchi stretti.
Io ero rimasta seduta con aria matronale sul divano per tutto il tempo, entrambi ora sostavano in piedi lì davanti a me.
La mia amica cominciò a ronzargli intorno come un’ape ronza su un succulento fiore traboccante nettare dorato, lo approcciò dapprima slacciandogli la cintura, gli abbassò poi lentamente i pantaloni, gli tolse la canotta nera…mentre io presi in mano con fare deciso una delle mie corde di canapa, facendola scivolare tra le dita, sbattendola sul palmo della mia mano, mentre aspettavo che la complice di questa deliziosa azione estemporanea mi portasse il frutto della sua ammaliante conquista, consegnandomi quel delizioso e fresco bocconcino da trattare a dovere e gustare poi assieme.
Non oppose alcuna resistenza quel ragazzo, si lasciò tranquillamente spogliare, si lasciò sdraiare sul divano.
Gli presi con forza i polsi e con pochi giri di corda glieli bloccai al petto.
Lui chiuse delicatamente gli occhi, mentre la mia amica lo stava carezzando in fronte, baciando, sfiorando con le sue stupende e affascinanti preziose mani affusolate sulle cui unghie aveva steso quella sera uno smalto brillante rosso fuoco.
Riservai anche a lui più o meno lo stesso trattamento che avevo riservato alla mia amica, caviglie legate e incaprettamento completo, stavolta però portai e bloccai le sue ginocchia al petto.
Le mie corde solcavano il suo corpo strette, profonde, ad ogni giro provocavano un sussulto, supportato dalle carezze amorevoli della mia complice che aveva le sue mani ancora attorno alla testa di quella preda, e in poco tempo il bocconcino fu quasi completamente bloccato, chiuso, stretto nella morsa del ragno.
Lo girammo, terga al vento, gli abbassai le mutande per esporre le sue natiche alla vista di tutti, mentre la mia amica gli conficcò più e più volte le unghie laccate di rosso nella schiena, graffiandolo, segnandolo di rosso, come se le segnature che già le corde stavano intessendo sulla sua pelle non fossero abbastanza.
Un bel culetto, davvero. Qualche schiaffo per scaldare la zona, poi venne decisamente il momento di adoperare la paletta da spanking che tenevo ancora sedata lì accanto.
Cominciai a colpirlo dapprima piano, con calma, poi in un crescendo di follia pervasiva mi lasciai trasportare da un fuoco irrazionale, la traiettoria che il mio braccio percorreva era molto ampia, durante la quale il gesto prendeva forza, potenza, per arrivare a schiantarsi violento su quelle morbide natiche indifese.
Pochi i gemiti che il nostro ospite emetteva, sembrava proprio che avesse una forte resistenza al dolore, mentre la sua pelle pian piano, colpo dopo colpo, diventava scura, viola, segnata da lividi sempre più evidenti. Mi domandai se mai quel ragazzo fosse in grado di dire “basta”, se conoscesse i suoi limiti o se li stesse esplorando in quel momento o addirittura ignorando, ma per evitare danni, visto che non lo conoscevamo e non ero a conoscenza dei suoi limiti, decisi di fermarmi lì. Ancora carezze, bacetti della mia amica sulla nuca, grattini di unghie pittate di fuoco, il respiro del ragazzo in quel momento era naturalmente accelerato, ansimante, il corpo madido di sudore.
Cominciai a slegarlo pian piano, per farlo tornare lentamente allo stato di quiete.
Lui sorrise, sembrava felice, cercò immediatamente i suoi vestiti e la sua bottiglia di birra, che era rimasta lì sul tavolo poco distante.
Cercai immediatamente un contatto verbale, gli chiesi come stava, come fosse andata durante la sessione, come si era sentito durante quella esperienza.
Mi rispose con una frase chiave che per me diventerà in seguito una sorta di mantra, che mi ripeterò in testa tutte le volte che penserò al perché alcune persone sono così attratte dalla ricerca del dolore più di altre.
Mi disse candidamente che era stato tutto molto bello, che il dolore lo faceva sentire di nuovo vivo, a fronte di una progressiva e dilagante noia e stasi nella sua vita.
Ed è forse questa la chiave per capire cosa c’è dietro la apparentemente folle richiesta di farsi fare del male e dietro la ricerca di qualcuno che ce ne faccia appositamente ed in maniera controllata, che ci ferisca sotto osservazione, che oltrepassi quello strato di pseudo-mummificazione che spesso si ispessisce e va crescendo sulla nostra pelle, andando a scavare sempre più in profondità fino al limite di sopportazione, limite che comunque non è mai ben definito e che può essere sempre spostato un po’ più in là.
Lo tengo sempre bene a mente.


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