Not Safe For Work

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lunedì 20 febbraio 2017

Dejà vu di Charmel Roses

"Mi suggerisci l'idea di un dejà vu. Un tragitto già percorso, un terreno già calpestato." disse, lasciando emergere con forza quell'immagine, l'idea di qualcosa su cui poteva camminare, che poteva, liberamente, calpestare. Seguì un breve silenzio e lei poté compiacersi dell'effetto che avevano avuto su di me le sue parole, dell'emozione con cui mi riconobbi in quel terreno che lei amava calpestare. La mia incapacità di rispondere, di stemperare la potenza di quell'immagine con una battuta, la incoraggiò a spingersi oltre, a saggiare ancora con maggior vigore e spregiudicatezza la possibilità che le offrivo di divertirsi con me e godere della mia remissione. 
Mi sorprese costatare che ci fossimo già spinti così oltre, rilevare il modo in cui aveva saputo imporsi e quanto piacevole potesse essere sentirsi alla sua mercé. 
"Un delizioso e solerte cagnolino. Ecco cosa sembri!" esclamò ed era chiaro che definendomi a quel modo intendeva rafforzare la propria posizione, indurmi a riconoscere la sua supremazia, mostrandomi grato per la voluttà di quell'immagine che non poteva umiliarmi, che alludeva a ciò che ero e volevo essere per lei. Sapevo che dal modo in cui avrei reagito a quella provocazione sarebbe dipeso anche il modo in cui lei avrebbe potuto trattarmi in seguito. 
Sapevo anche di dovermi trattenere, che sarebbe stato opportuno evitare che gli eventi precipitassero così rapidamente. Conoscevo Angela da troppo poco, non sapevo se potevo fidarmi di lei e temevo ciò che lasciava presagire l'invadente e prepotente arroganza con cui si poneva nei miei confronti, la capacità che aveva di persuadermi e convincermi di essere già suo, di non avere altra scelta, se non quella di arrendermi e sottomettermi, incondizionatamente, al suo volere. E del resto, era proprio ciò che temevo a rendere la tentazione di cedere più invitante. L'eccitazione, il brivido e la bramosia di conoscere e subire i suoi desideri, ebbero la meglio su qualsiasi monito di ragionevole prudenza ed ero certo che lei potesse sentire le vibrazioni dei miei sensi scossi e vinti dai suoi attacchi. 
"Ti sembro un cagnolino?" mi limitai a chiedere e ripetere, scioccamente, dietro di lei. 
"Sì, esatto. Ti dispiace?" chiese ancora. 
"No. É solo che non pensavo di suggerire quest'immagine." "Sapevo che non ti sarebbe dispiaciuta. Sono molto graziosi i cagnolini. Mi piace quando scodinzolano e si accucciano, lo sguardo mite e supplice con cui chiedono di poter leccare i piedi della Padrona." precisò. 
"Quindi, se ti sembro un cagnolino, m'immagini pronto a scodinzolare e accucciarmi ai piedi della mia Padrona." "Ovviamente sì. Ammesso che tu abbia una Padrona." 
"Non che io sappia." 
"Cosa vuoi dire? Credi che possa esserci qualcuna che ti possiede a tua insaputa?" 
"No, era solo un modo di dire." 
"Non è bene che un cagnolino stia senza la sua Padrona. Rischia di diventare triste e malinconico. Esattamente come mi appari tu, di tanto in tanto." 
"Come un cagnolino triste in cerca della sua Padrona?" 
"Sì, esatto. Un'immagine che ti calza a pennello." 
"E come può riuscire, un cagnolino, a trovare la sua Padrona." "Non può. É la Padrona che trova lui. Il cagnolino può solo riconoscerla annusandole i piedi." 
"Suppongo, allora, che dovrei andare in giro ad annusare i piedi di potenziali Padrone per riconoscere la mia." 
"Sì, potrebbe essere un'idea." 
"Sei certa che funzionerebbe?" 
"Se non ci credi, perché non provi?" 
"Vuoi che provi ad annusarti i piedi?" 
"Credi che io possa essere la tua Padrona?" 
"Non intendevo dire questo... Pensavo solo che... " balbettai confusamente. 
"Su, non essere timido. Puoi dirmi ciò che pensi. È naturale che, così come io ho potuto notare quanto somigli a un cagnolino, tu possa aver ragione di immaginare che io potrei essere la tua Padrona." 
"Sì, immagino sia naturale." farfugliai. 
"Ebbene?" 
"Ebbene cosa?" 
"Un cagnolino solitamente si mette carponi e si avvicina supplice e mite in cerca dell'odore della sua Padrona, non credi?" Esitai, temendo che Angela volesse solo prendersi gioco di me. Supponevo fosse troppo tardi per avere dei ripensamenti e sentivo crescere sempre di più la voglia di perdermi in quel gioco. Con fare goffo e tremante m'inginocchiai e pur provando ancora imbarazzo, mi sentii più sicuro e a mio agio in quella posizione. Avanzai carponi fino ad Angela e strofinai il viso contro le sue scarpe per annusare il suo odore. La sentii sorridere del mio gesto. Percepii il suono trattenuto di una fragorosa risata, il presentimento di un giocoso scherno incapace di ferire o offendere. Con grazia lasciva, Angela fece scivolare i piedi fuori dalle scarpe e aprì le dita a ventaglio, consentendo che affondassi il naso tra di esse e che il mio respiro s'imbevesse del loro aroma. Il suo odore era caldo, dolciastro, a tratti fruttato. 
Quasi senz'accorgermene, totalmente soggiogato e vinto, mi ritrovai a baciare e leccare i piedi di Angela, esattamente come il cagnolino che aveva descritto poco prima. 
"Si direbbe che tu mi abbia riconosciuta." rilevò, compiaciuta dalla foga con cui le leccavo le dita dei piedi. 
"Così come tu mi hai trovato, mia Padrona." le risposi. 
"Allora dovresti ringraziarmi. Magari come un cagnolino, abbaiando per me." aggiunse e mi accarezzò dolcemente i capelli. Mi sentii ridicolo, eppure abbaiai. Subii quella cocente umiliazione solo per sentirla ridere soddisfatta, per poter soccombere all'ombra del suo sguardo compiaciuto e soddisfatto. Angel mi afferrò i capelli dietro la nuca. Mi costrinse a reclinare il capo e si sporse su di me. 
“Sai cosa mi piace di te?” 
“Cosa, mia Padrona?” 
“La consapevolezza che ho di poter fare di te ciò che voglio. La ritrosia con cui ti offri a me, quel vago e vano tentativo di resistermi, di mantenere il controllo, prima di cedere e arrenderti incondizionatamente al mio volere. Esprimi un sentimento di inesorabile e profonda remissione e appartenenza che rende ancor più soddisfacente trionfare su di te, vedere quella sorta di espressione di disappunto sul tuo volto e la supplice e mite richiesta di essere trattato con misericordia.” 
Una lucida perla di saliva sbocciò tra le sue labbra e la fece colare nella mia bocca, contemplando lo smarrimento e il piacere con cui accolsi quel dono inaspettato. Era sempre viva, in me, l’idea di come potevo apparire a uno sguardo esterno, estraneo a quel tipo di piacere, mentre ero totalmente immerso in quel genere di atti. 
Quello sguardo, faceva sì che la ragione restasse vigile, che potessi percepire pienamente l’umiliazione che subivo, ricavando anche da questo il mio piacere. Temevo di essere sorpreso in un momento del genere. E questo timore, che rendeva quegli atti intimi e segreti, accrescevano il mio sentimento di remissione e appartenenza a colei che di quel segreto era testimone, che condivideva e disponeva di quel piacere, come benevola e fidata custode, ma che poteva divertirsi anche a minacciarmi e farmi tremare. Assaporai con voluttà la sua saliva, la sentii e trattenni mentre scorreva sulla mia lingua. Maggiore era il piacere e la gratitudine per quell’insolito bacio, più forte era la percezione della mia umiliazione e il desiderio che proseguisse, fino a travolgere totalmente i miei sensi. 
“Non essere ingordo. Sei il mio schiavo e questi piaceri devono essere centellinati assieme a tanti altri. Se così non fosse, non saresti altro che una banale e noiosa sputacchiera.” disse e, in tal modo, mentre mi onorava definendomi come un suo bene prezioso, lasciava che io percepissi con maggior prepotenza la mia condizione umile e servile e il potere che lei avrebbe potuto esercitare su di me, concedendo che io potessi fremere tra la gioia e il tormento di quella resa incondizionata.

di Charmel Roses
Char

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