Not Safe For Work

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venerdì 20 luglio 2018

Racconto


Le piaceva osservarmi. Provava una sottile eccitazione nel vedermi nudo, con la testa bassa e le mani dietro la schiena in posizione di attesa. Un' attesa silenziosa, immobile, nervosa. Per quanto la conoscessi sapevo che era imprevedibile, potevo aspettarmi di tutto ma anche niente e nonostante gli anni di appartenenza quello era un momento in cui l'abitudine non si sarebbe mai impossessata di me, mai avrebbe attenuato quel reverenziale timore che sentivo dentro e che mi faceva vivere quegli istanti iniziali come se mi trovassi al cospetto di una Corte in attesa di giudizio di un reato che non sapevo di aver commesso. Cercavo di non produrre alcun rumore , ciononostante, nell'apparente silenzio udivo il mio respiro come fosse amplificato. I suoi occhi erano su di me. Li sentivo perscrutare come se stessero scavando dentro la mia anima. L'eco dei suoi tacchi interruppero i pensieri meditabondi, seguirono da due rapidi e lievi soffi d'aria ognuno dei quali terminò con un leggero colpo secco. Era il suo staffile che colpiva lo stivale. Destandomi dal torpore in cui pensieri e paure mi avevano fatto cadere concentrai la mia attenzione e finalmente capii il significato di quella situazione: non stava riflettendo sul da farsi, stava attendendo che io agissi. Mi inginocchiai, abbassai la testa fino a posare le mie labbra sulla punta dei suo stivale in pelle nera e la baciai, prima una e poi l'altra, lentamente, con delicatezza. Una rapida serie di rabbiosi colpi di frusta cadde come pioggia sferzante di un temporale estivo sul mio culo e altrettanto severamente la sua voce penetrò nel mio cervello rimproverandomi con le seguenti parole:
"Lurido verme, dopo quattro anni non hai ancora capito che la posizione eretta per te è solamente una mera convenzione che ti concedo per poter sopravvivere nel quotidiano e che al mio cospetto tu esisti solo a quattro zampe come un cane?....anzi come una cagna e all'occorrenza anche come una troia!"
Dissi soltanto: "Si Padrona, chiedo scusa".
"...e all'occorrenza anche come una troia!" furono le sue ultime parole prima di congedarmi. Pensai che ci sono diversi modi che un dominante può intendere usando quel sostantivo. Ultimamente avevo la sensazione di venire sottoposto ad una sorta di esercitazione, di allenamento sia fisico che psicologico in modo da abituarmi e svolgere con naturalezza le azioni che mi venivano ordinate. Recentemente ad esempio dovetti infilarmi un plug nell' ano, inginocchiarmi di fronte all'armadio e simulare il sesso orale accogliendo nella mia bocca un dildo realistico attaccato all'anta tramite ventosa. Ero impacciato ma la sua mano intervenne prontamente posandosi sulla mia nuca e accompagnandomi avanti e indietro dando ritmo al movimento. 
"Voglio sentire il rumore della bocca" disse. 
Quando le parlai successivamente di questo specifico episodio scoppiò a ridere nel sentire che definivo l'azione "sesso orale" e mi umiliò ulteriormente rispondendo che mi aveva semplicemente insegnato come si fanno i pompini. Arrossii abbassando la testa mentre nella mia mente prendeva forma un pensiero che mi fece rabbrividire: il significato primario del termine troia. In fondo credo che le piacerebbe non poco ricevere soldi usandomi in tal modo. Non passò molto tempo, infatti, che iniziò a parlarmi di amici, conoscenti, padroni disposti a pagare per un esperienza del genere e usava questa prospettiva come minaccia, come possibile punizione. Stavo iniziando a capire il vero senso di esserle schiavo, di appartenerle. Non era un gioco e lo sapevo bene, era una condizione di vita in cui la regola base sulle cui fondamenta si basa il rapporto è l'obbedienza e la sua infrazione comporta conseguentemente azioni punitive. Non ci si può improvvisare schiavi, è un lavoro costante nel tempo di formazione, in cui il padrone modella sapientemente ciò che gli appartiene fino ad averne il totale controllo che equivale al desiderio dello schiavo di rimanere tale in qualsiasi circostanza, a qualunque condizione.

by Andrea

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